Street Art, tra le vie popolari di Bologna

Molte città italiane sono connotate da poli di edilizia economica e popolare, molti di questi lotti prettamente residenziali sono locati nelle aree urbane più periferiche. Purtroppo la realtà sociale che investe questi insediamenti allontana i cittadini dall’apprezzamento delle caratteristiche architettoniche di questi luoghi, spesso interessati da importanti Piani di Recupero Urbano (P.R.U.).

La storia dei quartieri popolari è molto interessante e fonda le sue radici in tempi non sospetti. Gli Istituti Autonomi per le Case Popolari (I.A.C.P.) hanno avuto avvio nel 1903, con la promulgazione di una legge volta a facilitare la costruzione delle case a beneficio dei ceti popolari, all’interno di una politica sociale, promossa da nuove forme di Enti economici e di interventi dello Stato. I primi nuclei sorsero a Trieste e poco dopo a Roma con l’esclusivo interesse dei Comuni di intervenire nel sistema sociale attraverso il “bene casa”.

A partire dal secondo dopoguerra l’edilizia popolare ricorse all’ INA Casa e GESCAL per finanziare la maggior parte delle costruzioni I.A.C.P. che, di fatto, furono concluse dopo l’emanazione della Legge 865/1971, quando numerosi Architetti parteciparono alla costruzione di questi quartieri, mettendo in gioco idee, metodologie di ispirazione Le Corbusieriana (Unité d’ Habitation, Marsiglia) e materiali per l’epoca di nuova generazione.

A questo punto è lecito domandarsi perché oggi questi quartieri conservino poco o nulla degli originari intenti estetico-funzionali dei progettisti.

La risposta è molto semplice. Fino ad ora abbiamo parlato di edifici “popolari”, ovvero edifici costruiti dallo Stato, di proprietà dello Stato e ceduti, con canoni di locazione esigui, alle famiglie poco abbienti. Ebbene, queste abitazioni I.A.C.P. comportano esosi costi di gestione e manutenzione a carico dello Stato che non sempre è nelle condizioni di poterne finanziare gli interventi.

Un’altra causa è alla base delle problematiche sociali. I cosiddetti P.E.E.P. (Piano per l’edilizia economia e popolare), entrati in vigore con la L. 167/1962 per rafforzare gli interventi per le case popolari, attraverso lo strumento urbanistico del Piano, prevedevano la realizzazione in uno stesso lotto di case popolari I.A.C.P. e di abitazioni di edilizia economica. Di cui quest’ultima, generalmente in mano ai privati i quali, in cooperative, consorzi o società, dovevano procedere all’edificazione di residenze accessibili ai ceti medio bassi, attraverso mutui a tassi molto vantaggiosi. In vari casi, le due realtà sociali, pensate in parallelo per evitare il fenomeno della ghettizzazione, non sono mai state concretamente edificate.

Solo negli ultimi anni, i Comuni hanno intrapreso programmi di recupero del tessuto sociale e urbano e di riqualifica dei lotti residenziali di edilizia popolare.

Uno, fra i numerosi esempi, è quello bolognese.

Il progetto “Frontier – La linea dello stile”, finanziato dal Comune di Bologna e dalla Regione Emilia-Romagna (http://frontier.bo.it/), curato da Claudio Musso e Fabiola Nardi, vede impiegati 5 tra i più famosi writer stranieri e 8 artisti italiani, con lo scopo di valorizzare e far conoscere il Writing e la Street Art.

I 13 graffiti realizzati sui muri di testa delle case I.A.C.P. sono un esempio dei vari stili grafici, che nelle arti di strada si sono susseguiti dagli anni ’70 ad oggi, dando luogo a un’opera di grandissima rilevanza architettonica e artistica. Artisti del calibro dello statunitense Phase II, fondatore negli anni ’70 del writing e padre del Bubble Style, il tedesco Daim, l’olandese Does, il francese Honet, il polacco M-City, insieme ai bolognesi Rusty, Corsello e Dado, il padovano Joys, Etnik e il riminese Eron e il romano Andreco si confrontano con l’architettura e con il luogo a “suon di bomboletta”. In un contesto di strada famigliare agli artisti e in un quartiere che accoglie volentieri il colori vivaci sopra i muri di cemento delle case per lavoratori, i writer esibiscono la loro arte in intesa con il significato del quartiere INA casa. Li dove le composizioni articolate dell’architettura si mescolano con il verde dei viali alberati spunta fuori la vivace cromia dei graffiti. 13 enormi opere autonome e distinte, proprio come i progetti delle residenze popolari del Piano Casa di Amintore Fanfani.

Con gli anni le conseguenze di aver voluto progettare quartieri autosufficienti e spesso isolati dal resto della città si sono ritorte contro la popolazione soprattutto sul piano sociale, ma chi visita questi luoghi oggi può facilmente intendere l’importanza e la forza che ha avuto l’arte nel ricucire stralci di città e gli animi delle persone.

Quello del progetto Frontier a Bologna è un segno molto forte della presenza delle amministrazioni comunali sul territorio, nonché una proposta nuova e accattivante di sviluppo del turismo bolognese attraverso una proposta volta ad avvicinare i cittadini alle arti meno convenzionali.

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